mercoledì 9 settembre 2015

DIARIO DAL CAMPO DI FAVIGNANA (TP) | 2015


Mauro Rostagno amava mescolare. Suoni e visioni. Culture e religioni. Non ha mai temuto gli esiti di queste mescolanze. Ha portato un pezzo d'India in terra trapanese. Ha portato l'eclettismo sessantottino di un mondo in rivoluzione a Milano, in quel crogiuolo che era Macondo.
Tornato dal campo di Favignana, non ho voluto scrivere nulla a riguardo. Come spesso mi accade, ho bisogno di alcuni giorni per trovare i termini giusti per descrivere un'esperienza di questo genere. Specie quando è così profonda la differenza tra la vita passata nel quotidiano e la vita nel campo. E così, tanto più i giorni sono passati, tanto più ho elaborato. Ho elaborato la mescolanza di storie e dialetti, di interessi e di aspirazioni che si sono incrociate a Casa Macondo. Siamo cresciuti, a Casa Macondo. Rostagno sarebbe stato felice. In suo nome, ancora una volta, mescolavamo frammenti di Italia accomunati da qualcosa. Che chiamerei volontà di riscatto. Che poteva essere personale, di chi si sente in debito verso una società cui chiede tanto ma dà poco. Ma riscatto anche di un'idea. Quella dell'impegno concreto, dal basso. Non dei paroloni, non dei massimi sistemi. Ma dello sporcarsi le mani per rendere più pulita non solo una stanza o una spiaggia, ma una comunità.
A Casa Macondo ho imparato che bastano quattro giorni a creare una ciclofficina da una cava di tufo ricolma di rifiuti. Ho imparato che la mafia sa "mascariare". Ho imparato che la mafia sa uccidere un giornalista di 26 anni che la denuncia senza timori. Ho imparato che la mafia a Trapani è viva e chi non la vede è assopito oppure ne è colluso. Ho imparato che lo Stato stesso può essere fallace e sa confondere la realtà dei fatti. Lo aveva fiutato Mauro Rostagno. Grazie a lui, grazie al giudice Corso che ha redatto la sentenza del processo a suo nome, grazie a chi s'impegna per la verità, abbiamo imparato che il modo vero per rendere lo Stato più pulito è fare. Fare il proprio dovere di giornalista, di giudice, di medico, di impiegato, ma soprattutto di cittadino. Riportare lo Stato alla dimensione di ogni piccola realtà che andiamo a migliorare, e così incarnarlo. Lo incarna Michele, con il suo impegno viscerale nella cosa pubblica locale. Lo incarna Peppe, con il suo impegno nelle associazioni. Lo incarna Carmine, nell'opera di formazione e informazione di cui si fa carico nei nostri confronti. Persone di rara integrità e di fibrillante lungimiranza, che ringrazio di cuore per l'esempio mi hanno dato.
Ero l'unico siciliano tra i volontari, un onere di cui volentieri mi sono fatto carico per l'onore di cui mi sono sentito investito. Il campo ha fatto bruciare le ferite che la mia terra sa infliggere in una persona alla quale sta a cuore la giustizia. Nel ravvivarle, me le ha tuttavia sanate, mostrandomi le maniere per riportare quella giustizia offesa tra noi. Mi ha dato responsabilità. Mi ha rinvigorito la personalità. Parlo per me, ma sento di rappresentare il pensiero di ognuno dei singoli ragazzi che con me ha condiviso questa settimana fuori dal comune, ma che comune - come apertura a sé, agli altri, alla società civile - dovrebbe essere.

Simone Vespa

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