venerdì 4 dicembre 2015

"I Jardina non esistono più" di Rino Giacalone - intervista per cercare di far capire cosa rischiamo per il nostro futuro, se non dovessimo frenare il consumo di suolo e la cementificazione della terra.



Sull'isola di Favignana, esattamente in paese, c'è una zona chiamata della Badia che era famosa per i suoi antichi mulini, le pirrere (cave) e i suoi jardina con le sue piante di chiappara (capperi), terreni pieni di alberi da frutta, limoni, aranci, ulivi, melograni, ficare, vitigni, ma anche orti, quindi melanzane e pomodori nel periodo estivo.
Oggi questi jardina non esistono più, o quasi. "Oggi - ci dice il consigliere comunale Michele Rallo rispondendo alle nostre domande frutto di semplice curiosità - in tutto il paese rimangono solo pochissimi esempi di questi ancestrali e bellissimi scrigni di biosfera nascoste agli occhi della gente, dato che i jardina sono sempre racchiusi al di dietro delle abitazioni tipiche di Favignana. Un luogo che caratterizava il paese di Favignana, un aspetto culturale antropologico di questa isola, dove quasi ogni casa racchiudeva un jardino.
Negli ultimi decenni questa caratteristica dell'aspetto del paese che si fonde con le radici culturali di questa comunità è stata sostituita dal cemento e il consumo di suolo. Lottizzazioni, residence, villaggi, ville, prati all'inglese e piscine". L'isola capoluogo delle Egadi sembra essere messa in pericolo, la rincorsa a garantire casse floride per la cosa pubblica pare produrre conseguenze pesanti, ancora Michele Rallo sostenuto nelle sue parole da un altro consigliere comunale Linda Guarino: "Il territorio, la terra è oggi più che mai oggetto di scambio per una rendita immobiliare più remunerativa.
 Non vogliamo ledere il sacrosanto diritto di un isolano e non, di costruirsi una casetta per viverci, o realizzare il sogno della propria vita. Questi sono diritti sacrosanti inviolabili, sia dei cittadini di questa comunità, che sono l'hummus dell'isola, ma anche dei tanti amanti di questi luoghi. La mia riflessione si rivolge altresì alla svendita dei jardina, dei terreni, della terra viva, per farla diventare una cosa morta, distruggendola per sempre costruendo grandi complessi immobiliari, realizzando grandi affari". Non è una scena nuova è accaduta anche altrove, dagli anni del famoso sacco di Palermo sino ad anni recenti a Trapani dove terreni agricoli sono diventati di colpo edificabili e sono tanti gli esempi del passato dove su queste speculazioni c'è stata l'impronta lasciata dalla mafia. Le parole di Rallo e Guarino sono legate a qualcosa di attuale. "C'è una recente richiesta di realizzare una super lottizzazione in Favignana, di quasi 30 abitazioni. Richiesta ancora bloccata tra giunta e consiglio comunale per questioni di competenza. Ma nel frattempo quasi 50 altri appartamenti sono in costruzione, 25 in fase di rifinitura, e altri 20 appena autorizzati.
Con un calcolo semplice fissando un prezzo di mercato a euro 200mila per casa (i prezzi di mercato sono nettamente superiori) aggiungendo anche le altre villette che si vogliono realizzare con la lottizzazione, parliamo di un affare di ben 16 milioni di euro che si sta consumando in questi giorni sull'isola. E ripeto sono molti di più perchè i prezzi delle case sono nettamente superiori.
 
Dove va a finire questo fiume di danaro? Oggi Favignana è piena di case vacanze, residence, multiproprietà, villette con il prato all'inglese; senza dubbio economia per questo paese che vive ormai quasi esclusivamente di turismo, verissimo. Peccato che questa economia non risulta essere residente, tranne pochissime eccezioni ma molto limitate. Quei 16 milioni vanno via dall'isola, qui rimangono solo le briciole". A Favignana non resta nulla, come mai?
"Qui a Favignana non si costruisce con manodopera residente o quasi, gli imprenditori sono quasi tutti grossi squali e vecchi lupi del settore immobiliare, preferiscono prendere manodopera non residente. Le villette o case non sono alla portata delle tasche dei residenti, qui non nasce la casa desiderata dall'isolano, ma è un mercato rivolto esclusivamente al nord, ad altri mercati. I prezzi sono gonfiati e fuori dal mercato per le tasche di chi lavora solo per sei mesi l'anno. È evidente che saranno destinate a turisti che l'apriranno se tutto va bene 15 giorni l'anno e decideranno di affittare per il resto della stagione.
Ma anche gli affitti per i residenti rimangono inaccessibili, per loro i prezzi sono tenuti la maggior parte dei casi elevati per non dare le case. E in molti casi queste stesse persone si rivolgeranno al comune per chiedere un contributo affitto".
 
Ma costruire strutture ricettive significa offrire per la gestione occasioni di lavoro ai residenti? "Si questo è vero - rispondono Rallo e Guarino -. È lavoro e non si caccia via nulla.
Ma cè anche qui un prezzo da pagare.
La maggior parte dei casi i ragazzi che andranno a lavorare in questi posti, salvo eccezioni, verranno pagati a part time per poi lavorare 12 ore al giorno. Questa è una prassi da queste parti, anche se nessuno vede. Certo loro ti danno il lavoro e bisogna solo ringraziarli. Altrimenti se si arrabbiano i grandi imprenditori, gli squali, quelli prendono romeni, gente non comunitaria che pagano quattro danari. Ovviamente non è sempre così, ma è bene parlare anche delle cose che non vanno, piuttosto di far passare questa comunità come un luna park".
Intanto il Consiglio e la Giunta comunale sono alle prese con le progettazioni sull'area dei cosidetta Jardina. "Sono destinati a sparire sotto il cemento delle villette dei vacanzieri - dice Rallo - che si trasforma in un fiume di danari per i grossi imprenditori. Ci verrebbe da dire - aggiunge Guarino - più jardina e meno prato inglese, ma sappiamo che non servirebbe a nulla. Qui ci vogliono strumenti urbanistici seri e lungimiranti che diano una regola per tutti. Qui ci vuole quel tanto sbandierato piano regolatore generale accompagnato dal piano regolatore delle spiagge che determini e fissi dei limiti a questa espansione del cemento. Che si dica la parola fine alle continue autorizzazioni a lapidare la nostra isola, che si ritroverà sempre più senza acqua, senza fogne e senza strade.
 
Avevamo sentito alle ultime amministrative niente più lottizzazioni, niente più cementificazione, programma casa per le giovani coppie residenti. Che fine hanno fatto questi desideri a cui noi tutti avevamo creduto con tanto entusiasmo.
Perchè siamo rimasti impigliati nella rete degli squali e lupi, pronti a sfruttare questo territorio solo per far fruttare le loro rendite, dimenticandoci degli antichi valori della nostra terra e mare, della cultura dei jardina".

martedì 24 novembre 2015

RESISTERE, ORA E SEMPRE



Sicilia: terra degli aranceti, degli ulivi, del sol; terra, purtroppo, anche di mafia. Ogni anno da tutta
Italia partono centinaia di ragazzi per fare volontariato con Libera o altre associazioni in questa
regione. Molti di loro non sanno che verranno smistati tra beni confiscati e beni sequestrati. La
sottile differenza che corre tra i due è che i primi sono stati ufficialmente espropriati al boss, i
secondi aspettano ancora il verdetto finale del processo. Insomma fare volontariato in Sicilia è un
po' come trovarsi nella finale di una partita di tennis quando la pallina sfiora la rete e per qualche
millesimo di secondo tutti rimangono con il fiato sospeso perché non sanno in quale metà campo
cadrà. Ma questo è anche lo spirito del volontariato: impegnarsi e contribuire a un progetto che
vale la pena sostenere nonostante il suo esito sia appeso a un filo.

Quello che colpisce di più è il fatto che tanti giovani si muovono in questi luoghi e si mettono in
gioco impiegando tempo, soldi e fatica nonostante quella percentuale di possibilità di sconfitta.
Sono i giovani delle nuove generazioni, i giovani che non mollano, che non vogliono vedere l'Italia
morire nelle mani di terribili mafiosi, sono i giovani che ancora credono in un futuro migliore e che
si rimboccano le mani per costruirlo, i giovani che si incazzano quando sentono dire "L'Italia ha la
classe politica che si merita" perché loro da italiani sentono di meritare di molto meglio.

Andare in avanscoperta in queste terre significa coglierne i lati più belli e i lati più terrificanti. Il
mare e le montagne in un unico scorcio, il cielo azzurro, le terre brulle, i paesini caratteristici, il
profumo salmastro che si confonde con quello degli aranci, il dialetto siciliano, la granita, gli
arancini, e poi dall'altra parte c'è il vicino mafioso che impreca e si arrabbia se dei ragazzi
cantano e suonano la chitarra, forze dell'ordine invischiate in affari mafiosi, la maggior parte
dell’edilizia coinvolta in attività illecite, giornalisti che vengono ammazzati perché 'sanno troppo'.

Quando ci chiediamo se è possibile estirpare la mafia e ci rispondiamo di no, sbagliamo! Perché
se pensiamo così significa che abbiamo già perso in partenza, che non abbiamo più speranza,
che abbiamo paura. Noi ci arrendiamo e la mafia ha già vinto. A volte dovremmo ricordarci che la
mafia è fatta da persone e le persone sono coscienze e le coscienze possono essere plasmate.
Se fin da piccoli ci insegnano che chiedere il pizzo è giusto, da grande ci sembrerà normale
chiedere il pizzo. Ma se c'è qualcuno che a gran voce grida che chiedere il pizzo è sbagliato,
ammazzare è sbagliato, riciclare denaro è sbagliato, mangiare sulla pelle della gente è sbagliato
e ti mostra un'altra possibilità allora tu ti trovi a un bivio dove devi scegliere se stare dalla parte
giusta o no. La scelta è quella di convertirti alla mafia, di sottostare alle regole del clan, oppure di
dire "No, io non ci sto. Io valgo di più!".
Da soli forse è impossibile, ma insieme si può e se ho
fatto la volontaria in queste zone è anche perché voglio sapere di non essere sola, voglio sentirmi
libera, voglio resistere. E questo è l'augurio che voglio fare anche a tutti voi!
Arianna

mercoledì 4 novembre 2015


"Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà. All'esistenza di orrendi palazzi sorti all'improvviso con tutto il loro squallore, da operazioni speculative ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perchè in uomini e donne non si insinui più l'abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore"



Questa è una frase celebre di Peppino Impastato, ripresa anche nel film de "I Cento Passi", frase famosa e più volte celebrata.

Le Egadi le amiamo tutti vero, tutti conosciamo le sue bellezze celebrate fin oltre i suoi confini creati dal mare. Ma allora perchè oggi più che mai vedo questa frase, questa affermazione attuale.

Sono Michele Rallo, consigliere comunale di questo arcipelago. Vivo a Favignana anche se lavoro a Trapani. In questi giorni, anzi da divresi mesi vivo la pressione di un piano di lottizzazione che a breve dovrà essere discusso, e quindi approvato o bocciato dal consiglio o la giunta municipale. Quando si tratta di questioni molto importanti e dove ci sono parecchi milioni di euro in ballo, in politica tutto diventa più liquido e non si sa chi deve fare cosa.

Ma a prescindere di chi deve dare il via o definitivamente bocciare questa SPECULAZIONE immobiliare, l'ennesima sulla già piccina isola di Favignana, non riesco a sopportare e tollerare le pressioni che si sta facendo su questa faccenda, che i consiglieri comunali e o chi per loro riceve per far si che questa ennesima speculazione vi si dia inizio. Caso strano vuole che questa richiesta di lottizzazione venga a depositarsi a pochi giorni dell'iter finale che vede finalmente il Piano Regolatore Generale arrivare a traguardo. Forse sarà perchè il PRG non prevede in quell'area delle lottizzazioni? Questo non lo possiamo sapere, ma la sensazione è questa, altrimenti che motivo ci sarebbe di forzare la mano, di cotanta premura di portare questo punto all'ordine del giorno.

E chi sono queste persone, costruttori rispettabilissimi, grandi professionisti che hanno da sempre cementificato il nostro territorio, costruendo case, palazzi, residence e lottizzando aree che una volta erano spazi verdi, terreni coltivati. Però loro danno da lavorare! Vero, ma a chi? Forse a ditte che provengono da Trapani? O qualche briciola resta anche ai favignanesi?

Pure i palazzoni questi signori ci hanno costruito nel passato, li hanno regalati ai posteri, come i borboni hanno regalato la sagoma del castello di s. Caterina. Quando le soprintendenze erano con gli occhi bendati e oggi tutti ci abbiamo fatto l'abitudine, rassegnati a vedere questi obbrobri di cemento, gabbie per grilli, piene di miracolosi ripetitori per cellulari.

Ma allora forse, mi viene da pensare che le nuove ville saranno fatte per i favignanesi, trasferendosi dal palazzone alle nuove abitazioni più belle, e abbattendo il grattacelo dopo che rimarà  vuoto. No, non credo sia così, i favignanesi rimarranno nella gabbia per grilli con in testa tante belle antenne, e le nuove ville saranno vendute a tanti signori dell'alta borghesia che viene da Palermo, Roma, Milano; quelli si che hanno tanti piccioli, quelli si che se lo meritano.

È vero, questo è il progresso, me lo ero dimenticato. Ma è anche vero che il progresso può essere anche di una malattia, di un cancro. E questo per me è il progresso del cancro cemento, del consumo del suolo e della bellezza di questa isola.

In campagna elettorale avevamo detto mai più speculazioni o lottizzazioni, un piano casa per le giovani coppie residenti, edilizia popolare.

Ma ovviamente sono cose difficili da attuare.

Oggi più che mai ritengo che quella frase scritta da Peppino Impastato negli anni settanta a Cinisi, oggi sia aderente alla contemporaneità che viviamo a Favignana, dove dietro ogni angolo ci sono pronti lupi che utilizzano il territorio, la terra come merce. Una volta i nostri antenati la terra era una risorsa, fonte di vita, essa stessa viva. Una villetta bella per quanto possa essere è fredda è una cosa morta. Riscontriamo nel centro storico decine di cartelli vendesi, l'isola piano piano si spopola dei propri residenti, del proprio bagaglio culturale, ma noi continuiamo a voler costruire a tutti costi, facendo crescere la periferia senza soluzione di continuità.

Io sono parte di una rappresentanza di cittadini, quindi chiedo che vengano prima attuati gli strumenti urbanistici adeguati ad una comunità civile che vuol crescere in maniera sostenibile e e abbiano un prospettiva sociale, non solo privatistica, di rendita immobiliare, di ricchezza dei privati.

Questa ulteriore lottizzazione è un'assalto ai beni comuni, se verrà approvata aprirà le porte a tante altre speculazioni lottizzazioni.

Porto qui l'esempio della Francia, un paese latino come il nostro che ha creato una direttiva ove si è deciso di perennizzare il paesaggio, quello agricolo e naturale, mantenendo un appeal turistico importante.

Io dico no a questa lottizzazione, dico di si alla bellezza.



Michele rallo


mercoledì 9 settembre 2015

DIARIO DAL CAMPO DI FAVIGNANA (TP) | 2015


Mauro Rostagno amava mescolare. Suoni e visioni. Culture e religioni. Non ha mai temuto gli esiti di queste mescolanze. Ha portato un pezzo d'India in terra trapanese. Ha portato l'eclettismo sessantottino di un mondo in rivoluzione a Milano, in quel crogiuolo che era Macondo.
Tornato dal campo di Favignana, non ho voluto scrivere nulla a riguardo. Come spesso mi accade, ho bisogno di alcuni giorni per trovare i termini giusti per descrivere un'esperienza di questo genere. Specie quando è così profonda la differenza tra la vita passata nel quotidiano e la vita nel campo. E così, tanto più i giorni sono passati, tanto più ho elaborato. Ho elaborato la mescolanza di storie e dialetti, di interessi e di aspirazioni che si sono incrociate a Casa Macondo. Siamo cresciuti, a Casa Macondo. Rostagno sarebbe stato felice. In suo nome, ancora una volta, mescolavamo frammenti di Italia accomunati da qualcosa. Che chiamerei volontà di riscatto. Che poteva essere personale, di chi si sente in debito verso una società cui chiede tanto ma dà poco. Ma riscatto anche di un'idea. Quella dell'impegno concreto, dal basso. Non dei paroloni, non dei massimi sistemi. Ma dello sporcarsi le mani per rendere più pulita non solo una stanza o una spiaggia, ma una comunità.
A Casa Macondo ho imparato che bastano quattro giorni a creare una ciclofficina da una cava di tufo ricolma di rifiuti. Ho imparato che la mafia sa "mascariare". Ho imparato che la mafia sa uccidere un giornalista di 26 anni che la denuncia senza timori. Ho imparato che la mafia a Trapani è viva e chi non la vede è assopito oppure ne è colluso. Ho imparato che lo Stato stesso può essere fallace e sa confondere la realtà dei fatti. Lo aveva fiutato Mauro Rostagno. Grazie a lui, grazie al giudice Corso che ha redatto la sentenza del processo a suo nome, grazie a chi s'impegna per la verità, abbiamo imparato che il modo vero per rendere lo Stato più pulito è fare. Fare il proprio dovere di giornalista, di giudice, di medico, di impiegato, ma soprattutto di cittadino. Riportare lo Stato alla dimensione di ogni piccola realtà che andiamo a migliorare, e così incarnarlo. Lo incarna Michele, con il suo impegno viscerale nella cosa pubblica locale. Lo incarna Peppe, con il suo impegno nelle associazioni. Lo incarna Carmine, nell'opera di formazione e informazione di cui si fa carico nei nostri confronti. Persone di rara integrità e di fibrillante lungimiranza, che ringrazio di cuore per l'esempio mi hanno dato.
Ero l'unico siciliano tra i volontari, un onere di cui volentieri mi sono fatto carico per l'onore di cui mi sono sentito investito. Il campo ha fatto bruciare le ferite che la mia terra sa infliggere in una persona alla quale sta a cuore la giustizia. Nel ravvivarle, me le ha tuttavia sanate, mostrandomi le maniere per riportare quella giustizia offesa tra noi. Mi ha dato responsabilità. Mi ha rinvigorito la personalità. Parlo per me, ma sento di rappresentare il pensiero di ognuno dei singoli ragazzi che con me ha condiviso questa settimana fuori dal comune, ma che comune - come apertura a sé, agli altri, alla società civile - dovrebbe essere.

Simone Vespa

Casa Macondo. Il cambiamento possibile




Da villa sotto sequestro a luogo di incontro, sperimentazione culturale e tutela ambientale.
A pochi passi dal mare, nell’incantevole cornice dell’isola di Favignana, Casa Macondo racconta una storia di riscatto nei confronti del potere mafioso e porta addosso «un nome che parla di giustizia e libertà», afferma Michele Rallo, Legambiente Egadi, co-gestore del bene confiscato insieme a Libera. Diverse le influenze sulla scelta: un omaggio a Mauro Rostagno, giornalista vittima della mafia che, nel ’77, aprì a Milano un omonimo centro culturale autogestito, ispirato al villaggio di “Cent’anni di solitudine” di Marquez, e il ricordo di Fulvio Sodano, l’ex prefetto di Trapani, conosciuto per il suo coraggio e per essere riuscito a proteggere da nuove infiltrazioni mafiose la Calcestruzzi Ericina, ora gestita da una cooperativa votata alla legalità.
Sporcarsi le mani, con il sorriso. Dall’assegnazione del bene a Legambiente, a maggio 2014, Casa Macondo è diventata un crocevia di persone, parole ed esperienze, dove prendono vita svariate attività culturali, da Radio FML (Favignana Marettimo e Levanzo, le tre isole dell’arcipelago), punto di trasmissione di un palinsesto tutto giovanile, ad Approdi, ricca biblioteca realizzata grazie ai libri donati dai tanti ospiti di passaggio. A Casa Macondo si parla anche di resistenza e giustizia e si vive concretamente la riappropriazione degli spazi, durante i campi di formazione che richiamano volontari da tutta Europa, in cui si ripuliscono sentieri, si piantumano ulivi, si realizzano orti sociali o si bonificano le coste dell’isola. Con la consapevolezza che, quella «settimana fuori dal comune - come scrive un volontario - ha reso più pulite non solo le spiagge, ma l’intera comunità».
«In futuro – conclude Rallo - vorremmo investire in una cooperativa sociale, a dimostrazione che lavorare nel mezzogiorno, con il rispetto dell’ambiente e dei beni comuni, è ancora possibile».
Come si convive, però, sapendo che il bene potrebbe tornare nelle mani del proprietario d’origine? Una cosa è certa. «Anche se, un domani, la villa venisse dissequestrata, – dice una volontaria – casa Macondo continuerebbe a vivere nel cuore di tutti coloro che se ne portano via un pezzetto, per ripiantarlo altrove». Perché, scriveva Marquez, proprio a proposito di Macondo: mas que un hogar, la casa era un pueblo”. Più che una casa, era un popolo.

                                                                                                             Valentina D’Amora

martedì 5 maggio 2015

Cosa Nostra? No, CASA NOSTRA!




Sull’isola di Favignana, “Casa Macondo” è il primo esempio di riutilizzo sociale di un bene ancora sotto sequestro alla mafia siciliana.

L’Arcipelago delle Egadi è un insieme di isole situate nella parte Nord- Ovest della Sicilia, per la precisione nella provincia di Trapani. Marettimo, Levanzo e Favignana costituiscono questo bellissimo arcipelago popolato per lo più da pescatori, dove la natura sembra trovare il suo massimo splendore attraverso un paesaggio nel quale si alternano montagne, boschi ed acque limpide come il cristallo.
Le risorse naturali ed economiche di cui questi piccoli borghi dispongono, attirano, però,di volta in volta gli interessi della criminalità organizzata locale; bisogna, infatti, tenere anche in considerazione la forte la presenza della mafia siciliana, Cosa Nostra, nella provincia di Trapani, base d’azione delle attività dell’attuale Capo dei Capi, Matteo Messina Denaro. Nonostante ciò, nella più grande delle tre isole, Favignana, comune di circa 1.500 abitanti, si sta vivendo una delle esperienze più significative,ed unica in certi aspetti, in tema di antimafia sociale, cittadinanza attiva ed impegno civile. 
“Casa Macondo” è il primo bene,attualmente sotto sequestro alla mafia siciliana, che viene riutilizzato socialmente. Questa villetta estiva, una volta punto d’incontro dei boss mafiosi, grazie all’impegno degli attivisti del Circolo Legambiente e del Presidio Libera delle Egadi e del giudice che ha predisposto l’affidamento del bene, è stata finalmente riconsegnata alla collettività, alla società civile. Durante tutto l’anno si svolgono diversi incontri formativi aperti alla cittadinanza e nei “campi di formazione e d’impegno” organizzati sia da Legambiente che da Libera, è possibile che cittadini provenienti da tutta l’Italia vengano a dare il loro contributo e creare momenti di scambio, che sono il vero motore pulsante della società. 
Il nome Casa Macondo è un omaggio a Mauro Rostagno, giornalista vittima della mafia perché aveva avuto il coraggio di denunciarla. Rostagno, nel suo passato milanese, fu tra i fondatori nel 1977 di un centro culturale punto di riferimento dell’estrema sinistra alternativa chiamandolo proprio Macondo, con riferimento al quartiere dove si svolgono le vicende del celebre romanzo “Cent’anni di solitudine”, scritto dall’autore colombiano Gabriel Garcia Marquez.
Ma la Colombia ritorna ancora una volta nel destino di Casa Macondo quando Michele Rallo, attivista Libera e Legambiente e co-gestore del bene, durante un’esperienza di turismo responsabile in Sud America, si trova catapultato in uno dei più significativi quartieri di Bogotà, Belén. Lì, si trovò a contatto con una realtà povera e disagiata, dove la criminalità organizzata aveva trovato terreno fertile. Nonostante ciò, erano presenti anche delle esperienze di resilienza e riscatto sociale come Casa B (B sta per Belén), uno spazio di mediazione e creazione socioculturale creato da un gruppo di persone incontratesi a Berlino nel 2008 e che hanno deciso di creare questa casa culturale al fine di generare una serie di processi di rete e di aggregazione, partendo dalle dinamiche e dalle necessità della comunità locale. Casa B, quindi, diventa allo stesso tempo esempio e stimolo per Casa Macondo, ispirando la creazione di una biblioteca sociale aperta a tutti “Approdi” ed attraverso le serate di cineforum, prendendo spunto proprio dal “Cinehuerta” di Casa B.
Ancora una volta i destini e le azioni di Europa ed America Latina si intrecciano. Spesso, si crede che sia il vecchio continente a dover essere da esempio per i “cugini” d’oltreoceano, ma in realtà abbiamo visto come gli stimoli e gli interscambi di idee ed esperienze servano ad entrambe le società, nel tentativo di un impegno ed un riscatto sociale dalle ingiustizie e dal crimine organizzato. 

Francesco Quarta

ECCO COSA RIMANE



12 aprile 2015, ritorno dal campo di Libera International.


Tornata ieri notte dal campo di Favignana non riuscivo a prendere sonno per i mille pensieri che mi frullavano in testa e oggi, quando ho disfatto  lo zaino e ho buttato tutto in lavatrice, ho capito che il viaggio era davvero finito.
È stato un viaggio intenso, un incontro con persone favolose che so mi porterò nel cuore, perché ho imparato qualcosa da ciascuno di loro. Un privilegio fantastico.

Adesso arriva il momento di metabolizzare tutto e di spargere le sensazioni di questa esperienza nelle giornate comuni. Questo sarà sicuramente il lavoro più difficile.

Ognuno di noi è arrivato a Favignana portato da motivazioni diverse e abbiamo potuto fare un passo indietro dalla nostra vita e dal nostro mondo per vedere quello a cui teniamo di più.
Sono sicura che almeno una cosa ora la condividiamo tutti: non ci vogliamo arrendere al presente.
Arrendersi al presente vorrebbe dire non essere cittadini, ma spettatori. Preferire la tranquilla quotidianità in cui ci dicono cosa mangiare, cosa fare, cosa sognare cancellando il pensiero critico, il diritto di scelta, la libertà di parola. Ingurgitare tutto quello che ci viene dato e non fare domande.
Un pomeriggio Alessia ha detto che dietro il semplice lavoro della pulizia delle spiagge c'è un grande gesto civico e noi l'abbiamo fatto col sorriso sulle labbra.
Essere cittadina però è molto più faticoso che pulire le spiagge dell'isola perché è un lavoro che dura tutta la vita. Sarò in grado di andare avanti senza mollare mai su niente, sapendo di dare fastidio, di rinunciare a vantaggi personali? in difesa di cosa?
A casa Macondo ho toccato con mano il bene comune e almeno per ora una cosa mi è chiara: se domani dovessi accettare che un privilegio che mi viene concesso dovesse calpestare i diritti di un altro, questo campo sarà stato inutile. Se guardassi senza indignarmi e protestare le ingiustizie che subiscono le persone accanto a me, tutti questi splendidi giorni saranno stati inutili.
Per questo servirebbe una casa Macondo in ogni città e paese: per ricordarci di essere cittadini liberi e responsabili e per ricordarci che si può creare una rete di amicizie e relazioni sincere e autentiche, al di là delle logiche di vantaggi e profitti. Servirebbe una casa Macondo per raccontarci le storie di chi difende i diritti di tutti noi con scelte quotidiane,  semplici e poco spettacolari, ma così concrete... per ricordarci delle molte vittime innocenti di mafia e per scoprire la nostra terra e la sua storia, da Lampedusa a Trento e riconquistare i nostri spazi.
E se un giorno dovesse mai arrivare il dissequestro, sono sicura che casa Macondo continuerebbe a vivere, perché tutti i viaggiatori che la vivono se ne portano via un pezzettino per poi ripiantarlo altrove.

Adele